La parola Reiki di origine giapponese è composta da due ideogrammi: Rei–Ki.
Rei, sta ad indicare qualcosa di misterioso, miracoloso, sacro; è in relazione al non manifesto, al trascendente, a ciò da cui tutto ha avuto origine.
Ki, invece significa atmosfera, soffio vitale, è l’energia che anima ogni cosa, ogni essere, ogni atomo dell’Universo, oggi è anche oggetto di studio nella fisica quantistica.
La parola Reiki quindi simboleggia l’unione di questi due aspetti dell’energia, dunque, il kanji Reiki, può essere definito come la miracolosa e sacra energia dell’universo, che infonde e sostiene la vita.
Essere un operatore reiki significa prestarsi a fare da canale proprio tra Rei e Ki, significa essere un mezzo per portare nuova linfa, luce ed equilibrio lì dove c’è bisogno ed ogni persona trae grande beneficio da questo.
Uno degli insegnamenti, tra i primi a me trasmessi, è “meno è meglio”. In una realtà in cui arricchire, decorare, aggiungere, personalizzare è quasi un imperativo per affermare la propria persona/personalità, l’assunto: meno è meglio sembra apparentemente stonare con il contesto, invece è proprio questo richiamo alla semplicità, alla purezza dei preziosi insegnamenti ricevuti che permette di mantenere fermo, preciso e diretto l’originale messaggio del Maestro Usui, al riparo da contaminazioni che forse non nell’immediato, ma nel tempo, potrebbero oltremodo diluire gli insegnamenti originali. Per esempio, la musica, l’incenso se utilizzati possono essere piacevoli “aggiunte” ma non sono questi particolari che fanno funzionare gli incontri, senza di essi, l’energia Reiki la trasmettiamo o riceviamo ugualmente, con la stessa intensità; anche il tanto decantato lettino di trattamento, se non c’è va bene lo stesso, opereremo sulla sedia proprio come faceva il M° Usui.
Andando oltre, il “meno è meglio” diventa, nella sfera personale, un approccio alla realtà che permette di concentrarsi su poche cose, focalizzarsi su di esse allontanandosi dall’eccesso, dall’avere troppe cose futili che possono portare distrazione e confusione.
Avere più cose significa distribuire la propria attenzione su più fronti e quindi diminuire l’attenzione che dedichiamo a ciascuna singola cosa. Lo scopo di adottare uno stile di vita di questo genere è finalizzato a portare ordine nella vita di chi lo segue, con il conseguente senso di libertà fisica, dato dal fatto di non avere oggetti superflui e libertà mentale, priva di legami e costrizioni dipendenti da cose fisiche. La pratica Reiki di conseguenza con questo approccio, ci permette di focalizzare la nostra attenzione ed energia sulle cose fondamentali che danno senso e valore alla pratica stessa e più in generale alla vita. Strettamente legato al detto giapponese “meno è meglio”, anche il motto della Komyo Reiki Do “Poggia le mani, abbandonati e sorridi”, è un invito a lasciar fuori il proprio ego e far si che l’energia dell’universo fluisca serenamente attraverso le nostre mani. Ebbene si, siamo solo un tramite, un ripetitore di energia, prezioso ed essenziale, ma come ricorda sempre il Maestro Usui, il lavoro di guarigione lo fa il Reiki non noi; il Reiki è tutto ciò di cui abbiamo bisogno per un trattamento, quindi tutti i pensieri, le preoccupazioni, le ansie su di noi o su chi stiamo trattando è molto meglio lasciarle al di fuori, rimanere centrati sul “qui ed ora” in modo tale che il “canale” sia sempre più forte, puro ed intenso; giustappunto il Reiki è anche definito l’arte dell’abbandono. Riguardo la mia esperienza diretta, una delle cose che più mi ha conquistato è proprio che i contenuti mentali, come già accennato in precedenza, strettamente collegati alla personalità ed all’ego, nel Reiki è molto meglio che stiano fuori, che non interagiscano, essendo fortemente distraenti e forvianti.
Infine un altro aforisma fondamentale è “Vai tranquillamente nel mezzo della lode e del biasimo”, diretta conseguenza di un atteggiamento retto, non contaminato da influenze esterne inutili, ci esorta ad andare a testa alta, serenamente nella nostra esistenza duale, dove gli opposti sono la nostra realtà oggettiva.
Ci invita a non evitarla o ritenerla sbagliata ma a integrarci in essa con la consapevolezza e la coscienza presente a se stessa, che non si esalta di fronte ad una lode o una conquista, ma soprattutto che non si lascia abbattere, distrarre da una critica, da un insuccesso o un problema, considerando entrambi come fatti ineluttabili della vita, procedendo su quella linea invisibile che separa i due opposti che solo uno spirito di ricerca profondo aiuta a vedere.
Tutto finalizzato a gustarsi in pace una “tazza di tè, in quanto tazza di illuminazione”, nel nostro “hic et nunc” in cui sono assenti sia il guadagno che la perdita, sia la vittoria che la sconfitta, ci siamo solo noi e la nostra tazza di tè, perfettamente integrati nella realtà che ci circonda, non distratti da nulla e profondamente immersi nell’esperienza unica e irripetibile di quel momento.